L’eccellenza sostenibile nel nuovo welfare
16 Febbraio 2015 [Ultimo aggiornamento: 9 Marzo 2015 18:33]
Il 13 febbraio 2015 sono stati presentati a Padova i risultati della ricerca L’eccellenza sostenibile nel nuovo welfare. Modelli di risposta top standard ai bisogni delle persone non autosufficienti, realizzata dal CENSIS in collaborazione con la Fondazione Generali, di cui è stata resa disponibile una sintesi.
Il progetto di ricerca, che si è posto l’obiettivo di realizzare un viaggio nell’universo della longevità e della non autosufficienza nel nostro Paese per aprire un confronto su soluzioni praticabili per un’assistenza di qualità, è stato condotto attraverso il ricorso a un pacchetto di strumenti quali-quantitativi della ricerca sociale: dall’indagine su un campione nazionale di cittadini con somministrazione di un questionario strutturato, alla realizzazione di case study e interviste qualitative su buone prassi nazionali e internazionali.
Negli ultimi dieci anni, la relazione diretta tra invecchiamento, patologie croniche e non autosufficienza ha aumentato l’impatto sociale ed economico, già significativo, sulle famiglie italiane, che hanno tamponato i ritardi e le carenze del nostro sistema di welfare del tutto impreparato ad affrontare il fenomeno. Sono state, infatti, le famiglie a occuparsi degli anziani parzialmente o totalmente non autosufficienti, garantendo direttamente la cura (prevalentemente attraverso la propria componente femminile) o assumendo una badante, di solito una donna giovane, straniera, proveniente da un Paese ad alta pressione migratoria.
L’acquisto di servizi di assistenza personale sul mercato è stato finanziato con risorse private, della persona e della famiglia.
In Italia si stima, per la non autosufficienza, una spesa privata per le badanti di oltre 9 miliardi di euro, a cui si devono aggiungere 4,9 miliardi di euro per il pagamento delle rette di oltre 295 mila ospiti delle strutture residenziali.
A tale spesa, si devono inoltre aggiungere le provvidenze assistenziali quali l’indennità di accompagnamento, che risulta pari a 9,6 miliardi di euro per gli anziani (a fronte dei 12,7 miliardi complessivi).
La ricerca vuole evidenziare come le generazioni attuali di longevi possano mediamente beneficiare di percorsi previdenziali forti e di patrimoni mediamente solidi fatti di proprietà della prima casa e spesso anche di altri immobili: presidi economici che finora hanno consentito di affrontare le nuove emergenze assistenziali ad alto costo legate alla non autosufficienza.
Tuttavia le difficoltà che in questi anni stanno colpendo i budget familiari hanno intaccato significativamente la capacità di spesa. Non sorprende, quindi, che sono oltre 561 mila le famiglie che per pagare l’assistenza a un proprio congiunto non autosufficiente abbiano dovuto usare tutti i propri risparmi o vendere l’abitazione (anche in nuda proprietà) o indebitarsi. Senza contare le famiglie che sono state costrette a rinunciare alle prestazioni delle badanti e a rioccuparsi direttamente dei propri parenti non autosufficienti, con inevitabili ripercussioni sul percorso lavorativo del caregiver familiare.
Se nella cultura sociale collettiva la soluzione ottimale per la non autosufficienza sta nella permanenza in casa propria con l’assistenza di un familiare o di una badante, o di entrambi, sono tuttavia oltre 2,5 milioni gli anziani che vivono in abitazioni non adeguate alle condizioni di ridotta mobilità, e avrebbero bisogno di interventi straordinari per adeguarle. E sono 1,1 milioni coloro che vivono in abitazioni non solo attualmente inadeguate ma inadeguabili, ossia in cui non è possibile realizzare degli adattamenti.
Ma gli anziani non sono solo destinatari dei servizi di assistenza e utenti del sistema di welfare.
Gli anziani che si prendono cura di altre persone coetanee parzialmente o totalmente non autosufficienti in modo regolare sono oltre 972 mila e 3,7 milioni lo fanno di tanto in tanto. Oltre 1,5 milioni di anziani dichiarano di contribuire in modo continuativo con i propri soldi al sostentamento delle famiglie di figli o nipoti, mentre sono circa 5,5 milioni i longevi che lo fanno di tanto in tanto. Oltre 3,2 milioni di longevi si prendono cura regolarmente dei nipoti e quasi 5,7 milioni lo fanno di tanto in tanto.
Il cuore della risposta sociopolitica e istituzionale alla sfida dell’invecchiamento viene individuato, dalla ricerca, nella promozione della longevità attiva: un contenitore pieno di relazioni, attività, impegni, progetti, voglia di fare. Ma anche nella valorizzazione delle potenzialità residue per i non autosufficienti, perché a ogni stadio di autonomia, anche quello dove essa è minima, è possibile e sicuramente più efficace lavorare sull’abilitazione delle persone, piuttosto che operare in modo puramente assistenzialistico accrescendo, nei fatti, la dipendenza. Le esperienze degli altri Paesi, in particolare quella olandese, confermerebbero tale impostazione, che emerge anche dalle best practice italiane per l’assistenza degli anziani non autosufficienti: allentare il dominio della sanità sulla vita dei longevi e promuovere contesti che siano piattaforme per la moltiplicazione delle relazioni, in cui ci sia un set ampio di attività, iniziative, progetti in cui le persone possono coinvolgersi e a partire dalle quali sviluppare rapporti con gli altri.
Da ultimo il tema della sostenibilità del sistema di welfare e delle risorse aggiuntive. La ricerca evidenzia come attualmente la maggioranza degli italiani in caso di non autosufficienza conti sulle risorse private del singolo e della famiglia: propri risparmi mobiliari e immobiliari, e il supporto dei familiari (sono infatti quasi 910 mila le famiglie in cui più membri si sono tassati per contribuire a pagare l’assistenza di propri congiunti non autosufficienti). Ma dall’indagine sembra emergere anche una propensione potenziale degli italiani ad accantonare risorse dedicate a finanziare nel tempo forme di tutela dalla non autosufficienza: considerando le dichiarazioni soggettive degli occupati sarebbero potenzialmente mobilitabili poco più di 17 miliardi di euro annuali.
Rispetto a queste ipotesi a forte spinta privatistica, il rischio che evidenziamo, in assenza della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali e di un finanziamento pubblico adeguato e certo, è quello di vedere acuirsi ulteriormente le disuguaglianze sociali, peraltro già esistenti.
Non dimentichiamo gli alti tassi di disoccupazione che caratterizzano il nostro mercato del lavoro e le forme diffuse di precarietà (tanto che gli anziani di oggi sostengono con le proprie pensioni i redditi, le spese impreviste, gli investimenti relativi all’acquisto della casa di figli e/o nipoti). E non dimentichiamo la rinuncia al lavoro o il suo drastico ridimensionamento da parte dei caregiver familiari. Tutte condizioni che accrescono il rischio di impoverimento delle famiglie e il differenziale nell’accesso ai servizi per la non autosufficienza, tanto più se di impostazione privatistica o previdenziale volontaria.
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