Legge 68: nuovi importanti elementi di conoscenza
4 Dicembre 2019 [Ultimo aggiornamento: 4 Dicembre 2019 11:16]
In occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ha presentato oggi, nel corso di una conferenza stampa organizzata presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il rapporto L’inclusione lavorativa delle persone con disabilità in Italia.
Si tratta di uno studio che offre una fotografia del collocamento mirato a quasi due anni dalla presentazione dell’VIII Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 68/99, relativa al biennio 2014-2015, che peraltro già soffriva di una incompletezza delle informazioni fornite. Uno studio che è stato elaborato in base ai dati resi per la prima volta disponibili dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali relativi al Prospetto Informativo Disabili – PID, una dichiarazione che i datori di lavoro pubblici e privati con più di 14 dipendenti sono tenuti a trasmettere per comunicare la propria situazione occupazionale rispetto alle assunzioni di persone con disabilità, o eventuali modificazioni in essa intervenute. Obbligo che è diventato sempre più stringente negli ultimi anni.
Il rapporto rileva che “A 20 anni dalla legge sul collocamento mirato (L.68/1999), l’inclusione lavorativa e sociale delle persone con disabilità resta ancora un traguardo lontano da raggiungere nel nostro Paese”. E fornisce a supporto una prima elaborazione dei dati ministeriali di natura amministrativa.
Al 2018 si contano quasi 360 mila lavoratori con disabilità, occupati in base agli obblighi normativi introdotti dalla legge 68/99. Sono in prevalenza uomini (il 58,7% contro il 41,3% delle donne) e residenti nelle Regioni del Nord Italia (il 56,3%, con una punta del 21,5% nella sola Lombardia).
Di essi, il 53,7% ha superato i 50 anni e il 14,3% ne ha più di 60, mentre solo il 17,5% ha un’età inferiore ai 40 anni. Un dato, questo, che si discosta significativamente dall’andamento generale del mercato del lavoro italiano, dove le quote di occupati under 40 e over 50 si attestano su valori piuttosto simili (rispettivamente il 36% e il 34%). Ciò viene ricondotto ad una pluralità di fattori, tra i quali la maggiore difficoltà di accesso al mondo del lavoro per i giovani con disabilità, ma anche l’impianto stesso della normativa. La legge da una parte ha dato impulso, vent’anni fa, alle assunzioni di persone con disabilità, e dall’altra parte computa tra gli occupati con disabilità chi è diventato invalido nel corso della propria carriera lavorativa, limitando quindi di fatto i processi di ricambio generazionale.
Alla maggioranza degli occupati (il 61,9%) è stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa inferiore al 67%, al 18,5% una riduzione tra il 67% e il 79%, mentre al 14,2% una riduzione superiore all’80% (per il restante 5,4% degli occupati tale dato non risulta disponibile).
Il Nord Ovest è la ripartizione territoriale che presenta la maggiore incidenza di occupati con riduzione della capacità lavorativa superiore all’80% (il 16,9%), cui contribuisce maggiormente la Lombardia, dove alla maggiore densità occupazionale corrisponde una più efficace capacità di inserimento delle persone che presentano condizioni più complesse.
Il 93,7% degli occupati ha un lavoro a tempo indeterminato, sebbene l’incidenza delle forme di lavoro temporaneo stia crescendo tra i giovani (il 27,9% degli occupati con meno di 30 anni e l’11,5% di chi ha tra i 30 e i 39 anni). Una tendenza che Condicio aveva già rilevato dall’analisi dei dati forniti nelle varie Relazioni al Parlamento sulla legge 68/99, da cui emergeva un processo di progressiva precarizzazione anche dei lavoratori con disabilità. Se fino al 2008, infatti, il tempo indeterminato era risultato la modalità di assunzione prevalente, a partire dal 2009, probabilmente anche sotto gli effetti della crisi economica, si registra un ribaltamento del rapporto fra posizioni a tempo indeterminato e determinato, a vantaggio di queste ultime, fino ad arrivare al picco massimo nel 2014, quando le assunzioni a tempo indeterminato scendono al 19,4% del totale e quelle a tempo determinato salgono al 71,7%. Valori che tendono a migliorare l’anno seguente (rispettivamente il 30,1% e il 63,1%).
Tornando ai dati del rapporto, più di un terzo degli occupati (il 34,3%) lavora con un contratto part time, e tale quota cresce tra i più giovani (il 37,1% di chi ha tra i 40 e i 49 anni, per arrivare al 49,3% degli under 30), con evitabili impatti anche futuri in termini reddituali. Interessante sarebbe comprende le origini di tale scelta, se sia effettivamente una libera decisione del lavoratore con disabilità e, in tal caso, se debba essere messe in relazione con l’assenza o insufficienza di altre forme di flessibilità, o con l’organizzazione del lavoro, o ancora con la mancanza o limitatezza di servizi di supporto, pensiamo ad esempio agli ostacoli alla mobilità che incontrano le persone con disabilità nel raggiungere il luogo di lavoro.
Rispetto alle modalità di accesso al mondo del lavoro, al 2018 gli occupati assunti con chiamata diretta risultavano il 77,4% del totale, con un picco del 92,8% fra gli under 30, a fronte del 22,6% degli occupati selezionati secondo un meccanismo numerico. Tale andamento risulta in linea con quanto già evidenziato dall’VIII Relazione al Parlamento, la quale metteva in luce come l’avviamento da graduatoria abbia da sempre rappresentato per i datori di lavoro privati una modalità residuale, in coerenza con l’approccio del collocamento mirato, questo anche al di là delle modifiche introdotte dal d.lgs 151/2015 che ha ampliato la possibilità di ricorrere alla richiesta nominativa.
A fronte dei 360 mila lavoratori con disabilità che risultano occupati in base alla legge 68/99, il numero degli iscritti alle liste del collocamento mirato ammonterebbe a 775 mila (al 31 dicembre 2015), come rilevato dall’ultima Relazione al Parlamento, che evidenzia anche una tendenza alla crescita di questo dato. In proposito il rapporto sottolinea come la condizione di “iscritto alle liste” non possa essere assimilata a quella di “persona in cerca di occupazione”, poiché esiste un problema di tenuta e di pulitura delle liste, e perché le persone iscritte potrebbero non essere effettivamente disponibili a lavorare. Vale quindi la pena ricordare che, anche uscendo dal perimetro della legge 68/99, non conosciamo il tasso di disoccupazione delle persone con disabilità con la stessa periodicità con cui viene rilevato dall’ISTAT sull’intera popolazione, poiché nell’indagine sulle forze di lavoro non viene considerata la variabile disabilità. Ad oggi, l’unica fonte disponibile è l’indagine ISTAT sugli aspetti della vita quotidiana, da cui è possibile ricavare che il 20,7% delle persone con disabilità di 15-64 anni abili al lavoro è in cerca di un’occupazione (elaborazione Fondazione Studi Consulenti del Lavoro su dati ISTAT – media 2016-2017).
Tornando al rapporto, l’ammontare degli iscritti alle liste viene interpretato come un segno evidente della “distanza macroscopica che ancora separa le persone con disabilità dal lavoro e della sfida che le stesse istituzioni hanno di fronte”. In questa direzione, un indicatore che permette di approfondire la capacità della normativa di garantire alle persone con disabilità l’accesso al mondo del lavoro può essere dato dal rapporto fra i nuovi iscritti e gli avviati nel corso di ogni singolo anno come desumibile dai dati forniti nelle varie Relazioni al Parlamento (fermo restando che i due aggregati non coincidono necessariamente, poiché una persona iscritta oggi potrebbe essere avviata anche negli anni successivi). Rapporto che nel 2015 si attesta a un avviamento ogni 3,2 iscrizioni. A cui si aggiunge il rapporto tra risoluzioni e assunzioni registrate nel corso di ogni singolo anno che nel 2015 scende a 1,2 sancendo di fatto una parità tra assunzioni e risoluzioni annuali.
A fronte degli oltre 770 mila iscritti alle liste del collocamento mirato e delle 360 mila persone con disabilità occupate con la legge 68/99, al 2018 si registrano 145.327 posizioni lavorative destinate a persone con disabilità non ancora coperte, pari al 29% della quota di riserva, ossia alle posizioni che i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti per legge a riservare alle persone con disabilità (in totale 501.880). Ciò significa che, secondo i dati forniti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il 44,9% delle 95.467 aziende tenute all’adempimento dell’obbligo normativo non è ancora in regola, non avendo ottemperato alla copertura totale della propria quota di riserva (il 45,5% delle aziende private e il 33,1% di quelle pubbliche).
Il rapporto rappresenta senz’altro un importante tassello conoscitivo (con dati inediti e aggiornati) e fornisce spunti di riflessione nell’ottica dell’analisi dei risultati prodotti dalle politiche pubbliche e dagli interventi normativi. E lo è ancora di più in un contesto, come quello della disabilità, su cui riscontriamo una carenza di informazioni in molti ambiti di vita di una persona. Un settore in cui le statistiche ufficiali risultano spesso non disaggregate o datate, e in cui esiste un problema di accesso alle informazioni esistenti. Se quindi questa analisi dei dati messi a disposizione dal Ministero può oggi alimentare il dibattito sulle questioni legate all’occupazione e all’occupabilità delle persone con disabilità, ancora più cogente risulta l’operatività della Banca dati del Collocamento mirato, istituita dal d.lgs 151/2015, di cui ancora non si conosce lo stato di attuazione. Alimentata in maniera costante da tutti i soggetti coinvolti, esse potrebbe permettere di raccogliere, in tempo reale, informazioni di natura amministrativa relative ai datori di lavoro e ai lavoratori con disabilità, e pertanto di effettuare delle elaborazioni specifiche (ad esempio relativamente a: iscrizioni, avviamenti, rapporti di lavoro attivati e cessati, competenze ad abilità degli iscritti, posti di lavoro e mansioni disponibili, incentivi alle assunzioni, agevolazioni erogate sulla base di disposizioni regionali, accomodamenti ragionevoli ecc.), consentendo il monitoraggio costante delle politiche attivate in funzione della loro valutazione e manutenzione.
Daniela Bucci
© Riproduzione riservata