Rapporto annuale ISTAT 2014
3 Giugno 2014 [Ultimo aggiornamento: 21 Luglio 2014 11:15]
Il 28 maggio scorso è stato presentato, a Roma, il Rapporto annuale 2014 dell’ISTAT sulla situazione del Paese.
Il capitolo 4 del Rapporto si occupa, in particolare, di Tendenze demografiche e trasformazioni sociali. Nuove sfide per il sistema di welfare. Esso ci offre uno spaccato degli andamenti demografici, delle condizioni di vita delle famiglie e delle politiche di welfare del nostro Paese.
Tra i 28 Paesi dell’UE, l’Italia è settima per la spesa in protezione sociale (che comprende la spesa in Sanità, Previdenza e Assistenza). Nel 2011, il nostro Paese ha, infatti, destinato per questa funzione il 29,7% del proprio prodotto interno lordo, valore al di sopra della media europea, pari al 29% del PIL. Tuttavia, questa settima posizione è caratterizzata da forti disomogeneità rispetto alle voci di spesa. L’Italia è il secondo Paese (preceduto dalla Lettonia) per pensioni di anzianità e vecchiaia, voce che assorbe il 52% della spesa per protezione sociale contro la media europea del 39,9%. Mentre è la penultima per la voce “Famiglia maternità e infanzia” con il 4,8% (la media europea è l’8%).
In questo quadro la spesa destinata alle persone con disabilità, nel 2011, è stata pari in Italia al 5,8% della spesa complessiva in protezione sociale, a fronte del 7,7% della media europea. Si tratta di pensioni di invalidità, contributi per favorire l’inserimento lavorativo, servizi finalizzati all’assistenza e all’integrazione sociale e strutture residenziali.
Questo ci colloca tra i Paesi con le percentuali più basse di spesa destinata alla disabilità. A spendere percentualmente meno dell’Italia sono solo Grecia, Irlanda, Malta e Cipro. Prestazioni che pesano solo per l’1,7% sul nostro prodotto interno lordo.
Una parte significativa del capitolo 4 del Rapporto annuale viene dedicata alle condizioni economiche delle famiglie, ma nessun dato specifico viene fornito sulle famiglie con all’interno almeno un membro con disabilità, che sappiamo essere uno dei maggiori fattori di rischio (per un approfondimento è possibile consultare il nostro Focus).
In Italia, il rischio di povertà nel 2012 è stato uno tra i più alti in Europa: il 19,4% degli individui ha un reddito disponibile inferiore alla soglia di povertà contro il 17% registrato nell’Unione Europea a 28 Paesi. Nel reddito disponibile delle famiglie sono ovviamente considerati anche i trasferimenti sociali, di cui hanno beneficiato nel 2012 quasi il 38% delle famiglie; si tratta di sussidi per l’invalidità o di disoccupazione (inclusa la cassa integrazione guadagni), di borse di studio, di benefici a sostegno delle famiglie (come gli assegni al nucleo familiare) e di contributi pubblici per le spese dell’abitazione (come l’affitto). Se non considerassimo tali trasferimenti, il rischio di povertà in Italia salirebbe al 24,4% e in Europa al 25,9%. La spesa sociale di tipo non pensionistico riduce, quindi, il rischio di povertà della popolazione residente, in Italia di circa il 20% e a livello europeo di ben il 34% (valore che varia da circa il 14% della Grecia a più del 50% per i Paesi scandinavi, Islanda e Olanda), a significare che i trasferimenti sociali, nel nostro Paese, sono meno efficaci e consistenti che nel resto d’Europa.
In quest’ottica, i tagli alla spesa sociale contribuiscono certamente ad acuire le criticità e gli squilibri territoriali.
Nel 2011 l’ISTAT ha registrato, per la prima volta dal 2003 (anno di inizio della rilevazione), una contrazione della spesa per interventi e servizi sociali dei Comuni singoli e associati (per un approfondimento è possibile consultare la nostra News).
Nel Mezzogiorno le risorse proprie dei Comuni coprono meno della metà delle spese per il welfare locale. In quest’area del Paese è maggiore, infatti, l’incidenza del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali sul totale delle spese per interventi e servizi sociali, a differenza del Nord e del Centro dove i Comuni integrano maggiormente con risorse proprie i fondi nazionali ripartiti a livello locale. Ciò significa che nel Mezzogiorno, dove il welfare locale risulta finanziato in misura maggiore dai trasferimenti statali, i tagli introdotti rischiano di tradursi più direttamente in un contenimento delle risorse impiegate in questo settore, accentuando ulteriormente i già rilevanti differenziali territoriali.
In controtendenza, la spesa rivolta alla disabilità risulta aumentare di circa 35 milioni di euro dal 2010 al 2011. Fra i principali interventi e servizi erogati per quest’area di utenza, si rileva il sostegno socio-educativo scolastico, che assorbe il 19% della spesa per disabilità, i centri diurni e le altre strutture di supporto a ciclo diurno, quali i laboratori protetti (20%), le strutture residenziali (16%) e l’assistenza domiciliare (14%).
Anche nell’area disabilità le differenze territoriali risultano molto rilevanti: mediamente un cittadino con disabilità residente al Nord-Est usufruisce di servizi e interventi per una spesa annua pari a 5.370 euro, contro i 777 euro del Sud.
Con riferimento all’assistenza domiciliare socio-assistenziale, mediamente in Italia usufruiscono del servizio 7 persone con disabilità su 100. In questo caso, tuttavia, le variazioni riflettono principalmente le politiche regionali, piuttosto che il tradizionale divario Nord-Sud. La Sardegna, per esempio, mostra un indicatore di presa in carico decisamente superiore alla media nazionale (40 disabili su 100 beneficiano del servizio). Per quanto riguarda invece le strutture residenziali, gli utenti a livello di ripartizione variano dallo 0,3% del Sud al 9,6% del Nord-Est.
L’ultima parte del capitolo 4 del Rapporto annuale è dedicata al ruolo del non profit. Nel 2011 si contano 15.644 strutture che offrono prevalentemente servizi di assistenza sociale, residenziale e non residenziale in favore di anziani e disabili. Di queste, il 71,7% è composto da istituzioni non profit, il 22,2% da imprese e il 6,1% da istituzioni pubbliche. Anche in termini di addetti il non profit assorbe la quota maggiore di personale impiegato in questa tipologia di strutture: su un totale di 233.100 addetti, il 76,2% è impiegato nel non profit, contro il 16,5% nelle imprese e il 7,3% nelle istituzioni pubbliche. La predominanza del non profit sale a oltre l’85% se si considerano anche i lavoratori esterni, i lavoratori temporanei e i volontari che complessivamente sono impiegati all’interno di queste strutture.
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